Il giorno del ritorno, già ricco di suo di emozioni contrastanti e di nostalgia non si sa bene di dove e di cosa, è stato ancora più particolare.
Il volo di ritorno è stato cancellato, non c'era proprio l'aereo. Dopo una attesa estenuante in aeroporto, hanno deciso di metterci in un albergo. Non parlerò del caos e dell'inefficienza indiana nel gestire la situazione, a cui ormai mi sono abituata e in cui non ci vedo niente di male, d'altra parte siamo in India.
Quello che mi ha colpito è invece un'altra cosa, tanto da pensare che la cancellazione del volo fosse un segno. Sono razionalista di natura e in un certo senso stare tanto tempo in India mi ha reso ancora più razionalista, quindi se il volo è cancellato, è perché c'era un problema tecnico e basta. Causa ed effetto. Nessun fine. Ma se, solo per giocare un attimo al gioco dei segni e dei significati, ci volessi trovare un senso a tutti i costi, potrei dire che mi hanno fatto stare un giorno in più perché c'era qualcosa che non avevo ancora visto e che dovevo vedere prima di partire.
Dentro, il lusso sfrenato. Quello di quei "lavish riches" di cui leggevamo all'istituto dei ciechi. Una hall enorme, spaventosamente enorme, con fontane rigogliose d'acqua, con pianoforti a coda e scalinate da principessa, su cui si affacciano le porte delle camere, dieci piani di camere di lusso.
Fuori, i soliti 35 gradi con umidità al 100%, dentro, aria condizionata così forte che non mi bastano tutti i vestiti che mi sono portata per coprirmi dal freddo.
Fuori, bambini che si rotolano fra montagne di rifiuti, dentro uomini d'affari che spostano milioni di dollari o euro dal loro portatile.
Dentro l'albergo poi c'è un buffet enorme, con ogni tipo di piatto, indiano, occidentale, cinese, pesce, carne, frutta, verdura, gamberoni, minestrone, insalata, curry, dolci. Aperto 24 ore al giorno. E fuori la gente mangia dai rifiuti.Vado all'ultimo piano per vedere meglio dall'alto. E' difficile vedere sotto, ci sono parapetti ovunque, quasi non ti volessero far vedere fuori. Ma trovo una finestrella di lato e riesco a guardare sotto. Si vede dall'alto la piscina all'aperto nel giardino dell'albergo: gente (qui in piscina soprattutto occidentali) che prende il sole, che fa i tuffi. Al di là del muro, proprio appoggiate al muro stesso, baracche di lamiera e gente sporca, sporchissima, senza acqua corrente, senza acqua potabile, senza bagni e latrine. Ma come fanno? Sia chiaro: intendo come fanno quelli che fanno i tuffi a fare i tuffi.
In linea d'aria solo due, tre metri. Ma gli uni non vedono gli altri: il muro di cinta e le palme molto verdi e tropicali separano i due mondi.
E' con questa parola in mente, e nel cuore, che lascio l'India, quando dall'aeroporto ci trovano un altro aereo, nel cuore della notte.