giovedì 30 agosto 2007

bramino comunista


Uno degli ultimi giorni passati in Kerala, Prem mi porta a visitare il massimo poeta vivente in lingua malayalam. Ha 82 anni e vive vicino a casa sua.
Nella sua vita ha scritto lunghi poemi in versi, ma non è molto conosciuto al di fuori del Kerala.
Con noi viene un amico di Prem. All'inizio sono un po' imbarazzata, in quanto non so bene chi è, cosa ha scritto, cosa scrive, cosa ha fatto e lui non parla benissimo inglese, non sempre ci capiamo.
Dopo un po' però il ghiaccio si scioglie e inizia a raccontare della sua militanza ai tempi di Gandhi durante la lotta per l'indipendenza, proprio le storie che piacciono a me. Racconta che ha lasciato gli studi per unirsi al movimento e che poi, dopo l'indipendenza, ha militato al partito comunista, partito molto forte in Kerala e ancora oggi al governo in questo stato. Si definisce a metà strada fra Gandhi, per l'aspetto spirituale, e i comunisti, per gli aspetti di uguaglianza e giustizia sociale. Un gandhiano comunista. Non ci vedo niente di strano, anzi è una figura che può solo essermi che simpatica.
Ciò che a me sembra strano è invece un'altra cosa: è un bramino. Bramini si nasce, e qui c'è poco da fare. Ma lui non è solo nato bramino, continua a comportarsi da bramino: indossa il cordino che sancisce la sua casta, accetta con naturalezza l'inchino ai suoi piedi dell'amico di Prem, che arriva fino a toccargli i piedi con la testa.
I bramini hanno il massimo dei privilegi delle caste, sono al di sopra di tutti. Come può un comunista accettare le caste, indossarne i simboli, accettare gli inchini che gli sono dovuti in virtù della sua posizione di superiorità?
Il comunismo è degenerato in molti paesi e ha spesso fatto il contrario di quello che ha detto. Coloro che si professavano comunisti spesso abusavano dei loro privilegi. Quindi non c'è niente di strano, tutto il mondo è paese.
Però, non c'è niente da fare, nonostante la forte simpatia che questo anziano scrittore mi ispira, un bramino comunista non l'avevo mai sentito. E non posso fare a meno di pensare che qualcosa di strano ci sia. Mentre per loro è perfettaemnte normale.

cinema


Il cinema è una parte essenziale della vita indiana.
Una delle domande più frequenti che mi fanno i ragazzi è quali film indiani ho visto. Intendono film hindi, di Bolliwood. E non a caso Mumbai è la capitale del cinema hindi in India.
Anche Akanksha organizza delle uscite al cinema. Raramente, ma ogni tanto un po' di svago ci vuole.
I ragazzi mi fanno una lista dei film che devo vedere. In pratica ho visto solo Monsoon wedding (considerato non veramente indiano in quanto prodotto da esportazione) e Lagaan (piu' accettato come indiano).
Di alcuni film che mi hanno consigliato i ragazzi ho comprato i DVD in una libreria, ma devo ancora vederli.
Poi una sera in Kerala andiamo al cinema a vedere un film in malayalam (la lingua del Kerala). Oltre alla produzione in hindi c'e' una vasta produzione in tutte le lingue degli stati dell'India. Ma prima di tutto parliamo del cinema: sembra un magazzino abbandonato. Da noi potrebbe essere la sede di un centro sociale occupato. Sul soffitto girano molteplici ventilatori. Sono quasi tutti uomini, se ci sono delle donne sono con i mariti e i figli, non da sole e non fra donne.
Il film si chiama Surya (sole), nome del protagonista. Ci dicono che rispetto alla media questo è un film di serie C. Ma mi aspettavo molto peggio. Mi aspettavo balletti e canzoni a non finire. Invece c'e' una trama anche abbastanza complicata (un po' improbabile, ma ci sta), parecchie azioni violente in cui Surya picchia e ammazza tutti. I pochi balletti sono anche piacevoli. Ovviamente niente baci o effusioni amorose. Grazie alla traduzione di Bindu, la moglie di Prem, riesco anche a seguire abbastanza.

Si nota una cosa: il loro standard di bellezza, soprattutto maschile. Il protagonista eroe è un tipo tarchiato, con i baffoni neri spessi, capelli neri e volto non troppo fine. Per noi un mostro... per loro un gran figo...
E poi i valori del film: vendetta (il perdono non si concede mai) e famiglia (la famiglia non si tocca).

Certo non e' il miglior film che abbia mai visto, ma sicuramente e' stata un'esperienza anche questa...

mercoledì 29 agosto 2007

mani

Premessa: questo post è macabro e raccapricciante. Ne sconsiglio sinceramente la lettura alle persone impressionabili. Ho delle immagini in mente che mi hanno perseguitato per tutto il tempo, non ne ho parlato prima per non enfatizzarle, preferendo parlare dei momenti di speranza. Ma ora è venuto il momento di tirarle fuori. Chissà che raccontandole riesca a liberarmene...

Queste immagini riguardano delle mani.
Prima immagine, che viene da una lettura di un articolo di giornale fatta con i ragazzi del centro nella scuola coloniale. Un uomo senza una mano, la destra, E sdraiato. Al posto della mano una fasciatura approssimativa di bende e garze insanguinate. Volto sofferente ma felice. L'articolo riporta la storia di quest'uomo, un devoto fedele di una qualche dea (ho dimenticato quale) al limite del fanatismo. Anzi, ben oltre il fanatismo: per offrire un dono alla dea ha pensato bene di tagliarsi una mano con un'ascia e di darla in sacrificio alla dea. Gesto supremo di devozione e annullamento, secondo lui. Gesto di follia, secondo noi (e qui il noi, non è "noi occidentali", come uso spesso, ma "noi, bambini, volontari e insegnanti di Akanksha che leggiamo l'articolo").

Altra immagine. Un uomo che mi chiede l'elemosina, alla stazione, mentre sto aspettando il treno. In una mano ha un bicchierino per i soldi, l'altra la tiene accanto al bicchierino e in pratica non parte dal polso, ma da meta' del braccio. Cioe' ha un braccio piu' corto, ma non e' questo, e' che la mano penzola, perche' non c'e' l'osso, dentro. Ed e' piena di bolle. La tiene bene in vista accanto al bicchierino dell'elemosina: è per lei che chiede i soldi.

Terza immagine: alla televisione una sera ripetono ossessivamente lo stesso filmato di denuncia nei confronti della polizia. Si vede un uomo con le braccia alzate e una delle due mani totalmente maciullata e sanguinante, come se gli fosse esplosa una bomba in mano. Poi la polizia gli spara addosso. E' una testimonianza e accusa della brutalità nella polizia, capace di sparare a un uomo disarmanto e con le mani (la mano) alzate. Non capisco cosa sia successo perché parlano in hindi, ma questa immagine dell'uomo a braccia alzate con una mano distrutta viene ripetuta in continuazione.

Tutte queste mani mancanti o martoriate mi impressionano e mi perseguitano. E
da allora ho iniziato a guardare le mani della gente di Mumbai. Ci sono mani tutte ben curate, ingioellate, inanellate. Alcune con i disegni con l'hennè, alcune con lo smalto sulle unghie. Altre invece sono l'opposto: dita mancanti, mani piene di piaghe, mani che sono diventate delle palle con delle protuberanze come dita. Un bambino di Akanksha ha 6 dita, due pollici. Ci sono persone invece a cui una mano manca del tutto: si vedono abbastanza spesso persone senza un braccio, soprattutto uomini anziani.

Non avevo mai pensato alla fortuna di avere due mani. Mentre scrivo alla tastiera mi tocco le dita una con l'altra, ci sono tutte, battono i tasti veloci, sicure, sane.

lunedì 27 agosto 2007

60 anni

Il 15 agosto è l'anniversario dell'indipendenza dell'India.
Era il 15 agosto 1947 quando fu proclamata la nazione indiana e gli inglesi lasciarono il subcontinente. Quindi sono 60 anni, numero tondo. E' un'occasione per riflettere su dove sia arrivata l'India oggi, che cosa ha conquistato e cosa invece c'è ancora da fare. All'istituto dei ciechi c'è stato un programma di preparazione al giorno dell'indipendenza, che è partito mesi prima del mio arrivo. Ogni settimana i bambini hanno studiato uno stato dell'India (un po' come noi studiavamo le regioni italiane alle elementari) mettendo in rilievo gli aspetti positivi.
Poi molte lezioni sulla "freedom fight" contro gli inglesi, contro le ingiustizie che gli inglesi attuavano in India. Alla fine, fra bandierine indiane sventolanti, i bambini cantano l'inno indiano.
Non è nazionalismo, almeno non mi è sembrato. La mia impressione è opposta. Questo continuo ripetere che bisogna essere orgogliosi di essere indiani (proud to be Indian) nasconde secondo me un senso di inferiorità che ancora vive fra gli indiani. Prem mi ha confessato che la prima volta che ci doveva ospitare in India, 4 anni fa, era nervosissimo per paura di non essere all'altezza nei confronti di stranieri, sicuramente migliori di lui in quanto stranieri.
E poi viene ripetuto troppo spesso, "proud to be Indian". Uno che è così proud non ha bisogno di ricordarlo ogni 5 minuti.
Ma è giusto che si faccia. Ed è giusta questa riflessione: cosa abbiamo fatto in questi 60 anni? Sui giornali c'è un po' di tutto: dalla "democrazia più grande del mondo" alla bomba atomica, dalle rivolte delle popolazioni tribali alla scommessa dell'industria del software, dalla mancanza di acqua potabile all'apertura di fabbriche della Coca cola. In effetti in India c'è tutto questo.
Forse loro non sono consapevoli di tutto questo, i bambini che cantano stonati l'inno indiano, con la maglietta di Akanksha (la loro divisa) con scritto "Be the change" (la famosa frase di Gandhi: be the change you wish to see in the world). O forse lo sono ben più di me, pur non sapendo contare e vivendo ai margini della società. Ed è a loro che bisognerebbe dedicare questa giornata, è a loro che l'India della bomba atomica dovrebbe pensare.

gerarchie

Se i primi giorni mi sembrava che i bambini di Akanksha fossero gli ultimi della terra, pian piano ho capito che loro sono gia' fortunati. Sicuramente sono fortunati per il fatto che sono stati inseriti nel programma di scolarizzazione e che, anche se alla sera tornano allo squallore dello slum, di giorno stanno in strutture dignitose e sono seguiti da persone che tengono a loro. Hanno la speranza. Il che e' sicuramente una testimonianza che quello che fanno le insegnanti e i volontari di Akaknsha funziona.
Ma ci sono anche altre realta'. E c'e' tutta una gerarchia di disperati: anche fra i poveri c'e' chi sta meglio e chi sta peggio. Nello slum ci sono vari tipi di baracche, che corrispondono a una gerarchia di ricchezza e poverta'. I piu' fortunati hanno una catapecchia di cemento, magari con i tetto di lamiera, ma per lo meno e' qualcosa di solido. Poi c'e' chi ha la lamiera in tutto e per tutto. E ci sono anche vari tipi di lamiere, piu' nuove o piu' arrugginite, in un unico pezzo o in piu' pezzi. Dopo la lamiera c'e' il telo. Anche qui, con una gerarchia di teli: piu' o meno impermeabile, piu' o meno sollevato da terra, piu' o meno grande. Sotto il telo poi, c'e' chi ha di piu' e chi ha di meno, chi ha il fornelletto per cucinare e chi no. C'e' poi chi per tetto ha solo i ponti. Un uomo vicino al mio albergo vive sotto un ponte, ha portato li' un divano e si e' fatto un salotto all'aperto.
E poi c'e' chi dorme sotto i ponti, ma non ha niente.
Confronto a questi anche i bambini di Akanksha sono fortunati. E "noi", allora?

sabato 25 agosto 2007

giorno e notte, uomini e cani

Mumbai cambia aspetto dal giorno alla notte. Proprio la Mumbai coloniale, non dico quella degli slum, dove di notte e' meglio non entrare.
Ci sono zone che di giorno sembrano tranquille, non eccessivamente povere. Ma a ripassarci di notte tutto cambia.
I marciapiedi sono particolari. Di giorno ci sono venditori ambulanti, "stalls" che vendono ogni tipo di cibo, gente indaffarata che cammina velocemente per prendere il treno. Di notte tutte queste cose scompaiono e i marciapiedi diventano dei dormitori. Soprattutto quelli coperti, sotto i portici, sotto strade sopraelevate, sotto i ponti: in tempo di monsone e' meglio essere coperti.
Ci sono centinaia di persone sdraiate una di fianco all'altra, che dormono direttamente sull'asfalto, oppure su qualche foglio di giornale. Alcuni hanno degli stracci su cui riposare. Le mamme abbracciano i bambini, alcuni piccolissimi, di alcuni mesi. Molti dormono abbracciati, eppure non c'e' bisogno di riscaldarsi, si muore dal caldo anche di notte. Queste persone poi di giorno scompaiono. Molte non possegono niente di piu' che un fagottino con quattro stracci dentro. Non hanno neanche una baracca di lamiera nello slum.
So che anche da noi ci sono persone che dormono per strada. Ma quello che qui fa impressione e' la quantita': interi marciapiedi occupati, una fila di cui non si vede la fine.
Alcuni dormono fra le macchine parcheggiate. Ho visto dei topi enormi aggirarsi fra i dormienti. E c'e' pieno di cani. Cani spelacchiati, magri, cencioci. Anche i cani si sdraiano come gli uomini e dormono li', accanto a loro, in cerca di compagnia. Sembra proprio che sia cosi': sono i cani che si sdraiano come uomini e non viceversa, in questo ordine inverso di umanita' abbandonata.
D'altra parte, fino a poco tempo fa, i cani potevano entrare nei templi indu' e gli intoccabili no.
Ho visto un ragazzo che dormiva sul marciapiede che va dalla stazione verso il mio albergo. Accanto una madre abbracciava una bambina, due ragazzi dormivano appaiati. Un padre abbracciava un ragazzino. Lui, forse non avendo nessun altro, abbracciava un cane.

colore della pelle

E' incredibile come il grado di ricchezza o poverta' sia legato al colore della pelle. Piu' la pelle e' scura, piu' si e' poveri (oppure piu' si e' poveri piu' la pelle e' scura...). Certo, non e' una cosa assoluta e univoca, ma e' sicuramente una tendenza statistica.
La classe media a Mumbai ha la pelle piu' chiara, veste in modo piu' occidentale(anche se non all'occidentale, i vestiti delle donne hanno tagli piu' occidentali, sono piu' sobri e meno colorati - ovvero piu' brutti, secondo il mio gusto personale...). Mentre le persone che si vedono dormire per strada hanno la pelle molto piu' scura.
La pelle piu' scura di tutti poi ce l'hanno certe donne anziane, vestite con dei sari cenciosi, vestite di stracci, scalze, che ogni tanto si vedono ai bordi delle strade.
I bambini del centro dei ciechi sono tutti scurissimi di pelle. I volontari indiani che vengono ad aiutare qualche ora alla settimana e che nella vita fanno lavori "normali" (lavorano in ufficio, studiano all'universita' o sono insegnanti) hanno tutti la pelle piu' chiara. E' una cosa che balza subito agli occhi, un contrasto di colore.
In TV e nelle pubblicita' sono tutti di pelle chiara, indiani sbiancati.
In generale la pelle scura in India e' malvista. Se una ragazza e' troppo scura e' un grosso problema, sara' difficile trovarle un marito che la voglia.
Noi, con la pelle bianca, siamo visti come dei bramini, in cima alla gerarchia delle caste. Negli ultimi giorni in Kerala ho visitato la scuola di Ammu, la figlia di Prem. Della visita e della scuola parlero' piu' avanti. Tutti i bambini mi volevano stringere la mano, toccare. A detta di Prem, per non perdere l'occasione di toccare qualcuno con la pelle bianca...

Eppure, quella loro pella scura e' cosi' bella. Ci sono donne bellissime, scurissime. Belle proprio perche' scure. Ma loro non lo sanno, di essere cosi' belle.

venerdì 24 agosto 2007

ritorno


Lo so, lo so. Non ho più scritto. Non certo per mancanza di cose da dire. Solo per mancanza di tempo (anche in India il tempo è cosa preziosa) e, quando non di tempo, di mezzi (internet che non funziona di mattino, sovraffollato di sera...).
Sono tornata oggi. Che effetto essere di nuovo a casa, anche perché so che questa qui non è la mia "casa".
Scriverò nei prossimi giorni tutte le cose che avrei voluto scrivere e che sono rimaste sulla punta delle dita, oppure nel blocchetto degli appunti. Non solo su Mumbai, ma anche sugli ultimi giorni passati in Kerala, a casa di Prem, giorni importanti "dentro" una famiglia indiana, che mi hanno fatto capire molte cose.
Ma per oggi mi cullo nei ricordi, divisi a metà fra la crudeltà della società indiana che permette così tante ingiustizie e l'affetto che provo per i singoli, per i miei amici indiani con un nome e un cognome, per gli amici che mai dimenticherò: Ramiza, Shyam, Pooja, Bindu, Govinda, Ankur, Rajeev, Prem, Ammu...

venerdì 10 agosto 2007

amore o denaro?


Al centro dei ragazzi piu' grandi, ovvero quello dentro la scuola "coloniale", Anjali, la loro insegnante, ha assegnato questo temino da scrivere in inglese: "cosa e' piu' importante nella vita: l'amore, i soldi, il rispetto o il successo?"
Il rispetto e il successo non hanno destato grande interesse e sono stati totalmente ignorati. Se la giocano l'amore e i soldi, ma vincono decisamente i soldi.
Frasi frequenti: con i soldi puoi comprare tutto il resto: l'amore, il rispetto e il successo. Se sei ricco tutti ti amano, ti rispettano e hai successo. Quando devi pagare l'elettricita' e il cibo, solo i soldi vengono accettati, non ti accettano certo l'amore, il rispetto o il successo. Quando devi nutrire il figlio che ami, l'unico modo per farlo e' avere dei soldi.
Concetto chiaro: senza i soldi non si vive. Senza l'amore si'.
D'altra parte l'assenza dei soldi e' il problema numero uno della loro vita: niente soldi per l'elettricità (infatti si attaccano tutti in modo abusivo), pochi per il cibo, niente per studiare, niente per curarsi.

Ma qualche ragazzina ha scritto anche che e' l'amore la cosa piu' importante, perche' senza quella si e' soli e se si e' soli si e' tristi e una vita triste che senso ha?

Con queste riflessioni e' passata un'altra settimana... Ogni giorno che passa sento che quello che faccio ora andrebbe continuato nel tempo, negli anni. Ci sono ragazzi che sono da 9 anni in questo programma e solo cosi' in effetti ha senso, accompagnarli da quando sono piccoli fino a quando diventano indipendenti e possono farcela da soli.
E' questo il sogno di Ramiza, la ragazza musulmana che mi si e' tanto affezionata: poter farcela da sola, perche' in questo mondo non puoi contare su nessuno. Amore o denaro che sia.

mercoledì 8 agosto 2007

san francesco

Di ritorno a Mumbai dopo il weekend lungo a Goa. Che dire di questi giorni in una Goa fuori stagione, con la pioggia, il mare mosso e le bianche spiagge tropicali mangiate dal mare?
Sicuramente giorni da ricordare, passati a raccontarsi con Prem quel poco che ancora non sapevamo dell'uno e dell'altro.
E poi, il piacere di visitare Old Goa, centro di chiese cattoliche lasciate dai coloni portoghesi, insieme a degli indiani che di fronte alla chiesa di San Francesco di Assisi mi chiedono chi fosse questo santo. Un po' come io non conosco i loro dei quando visitiamo dei templi. E allora racconto la storia di San Francesco, forse l'unica storia di un santo che saprei raccontare, forse la storia piu' bella, il santo della poverta', che tanto affascina anche loro.
Di ritorno a Mumbai quei giorni danno un po' di nostalgia e un po' di speranza, un piccolo aiuto per continuare con i bambini di Mumbai.

venerdì 3 agosto 2007

mappe umane


Passando le giornate ai vari centri, mi rimane poco tempo per scrivere: al mattino presto internet e' chiuso, di sera c'e' troppa coda. I bimbi sono tutti spettacolari e sono arrivata alla conclusione che se insegnare loro la matematica e' utilissimo, la cosa piu' bella per loro e' parlare con qualcuno che viene da fuori, fare domande e stupirsi sgranando gli occhi quando dico che sono figlia unica o che a piu' di 30 anni non mi sono ancora sposata. E quando, per riparare, dico che si', un giorno mi sposero' anche io, mi chiedono subito se sara' un matrimonio d'amore o un matrimonio combinato... Ormai ho imparato anche a conoscere i trasporti di Mumbai. Le guide come la Lonely Planet e la Rough guide asseriscono che e' impossibile muoversi con i mezzi pubblici. Treni troppo pieni, a cui in genere seguono fotografie di gente fuori dalle porte, appesa. E' vero, la gente sta "appesa" fuori, ma cio' non vuol dire che il treno sia pieno, anche quando e' vuoto stanno tutti di fuori, a prendersi l'aria addosso. Per gli autobus, invece, la motivazione e' che non si capisce dove vanno perche' non c'e' una cartina ufficiale delle linee. E' vero, la cartina non c'e', ma la faccenda e' molto piu' semplice: basta chiedere. Non serve una mappa se alla fermata degli autobus chiunque ti sa dire che autobus devi prendere, dove devi scendere, dove devi risalire. I bambini che vanno a scuola poi sono i piu' esperti, sono loro la mappa di cui si ha bisogno. L'unica difficolta' se mai e' leggere i numeri in hindi: sul davanti sono scritti solo in hindi, di lato anche in numeri romani, a volte, ma di lato e' gia' troppo tardi, perche' non e' detto che l'autobus si fermi, bisogna saltare su al volo. Quello che sembra un otto in realta' e' un quattro. Una bambina del centro mi ha fatto una tavola di conversione e ora so leggerli.
Questo weekend vado a Goa a trovare Prem, il mio amico del Kerala, che e' li' da qualche giorno. Viaggio nelle cuccette per signore e Prem mi viene a prendere in stazione. Torno lunedi'. Un weekend diverso dopo una settimana a Mumbai ci vuole proprio...

mercoledì 1 agosto 2007

all'istituto dei ciechi

Sono alquanto di fretta, perche', come mio solito, sono in ritardo...
Devo andare all'istituto dei ciechi di Mumbai. Li' c'e' un centro di Akanksha, anche questo ricavato in una stanza che non serviva a nessuno. Ci sono gia' stata ieri e ci tornero' quasi tutti i pomeriggi. Qui i bimbi sono piu' piccoli, molti sono stati appena inseriti nei programmi e quindi sono ancora molto indietro. L'insegnante e' la Suparna della mia immaginazione (sebbene si chiami Ragini), signora di 50 anni in sari, insegnante da una vita, la "maestra' severa e comprensiva con i ragazzi. Ieri ho mangiato con i ciechi, alla loro mensa, mi ha invitato un signore che mi ha visto un po' disorientata perche', a differenza di oggi, ero arrivata con un largo anticipo... Ma ora devo proprio andare, se no Ragini mi cazzia (se arriviamo noi in ritardo, perche' non dovrebbero farlo i ragazzi?).